24 February 2011

Qualche considerazione sul secondo esodo biblico annunciato

Come italiani sappiamo sempre distinguerci. In peggio. Da un lato c'è Gheddafi che ordina ai reparti dell'esercito ancora fedeli di massacrare la gente. Dall'altro c'è il popolo libico che eroicamente si scaglia contro i proiettili deciso una volta per tutte a liberare il paese dalla morsa della quarantennale dittatura. E in mezzo c'è l'Italia, la cui unica preoccupazione è il tappo agli sbarchi. Siamo davvero un triste paese. Pensate che in queste stesse ore a Tunisi e al Cairo sui social network si organizzano carovane di solidarietà per sostenere la rivoluzione dei libici! Sarà che abbiamo perso il gusto della libertà e della lotta. O sarà invece che siamo talmente razzisti da ritenere le genti della riva sud non ancora pronti, o per sempre inadatti, al vivere democratico. Mi ero ripromesso di non affrontare la questione prima di vedere quello che sarebbe accaduto. Ma sono state dette e scritte talmente tante fesserie, che qualche riflessione vale la pena condividerla. Perché non ci sarà nessuna invasione. Possibile che tutti si siano dimenticati che già prima del 2009 Gheddafi non esercitava nessun tipo di controllo alla frontiera e che al contrario la polizia, corrotta, incoraggiava gli imbarchi per l'Italia? E poi chi ha detto che il milione di stranieri in Libia si trovino lì per venire in Sicilia? E soprattutto, da quando i giornalisti raccontano i fatti prima che accadano? Sarà un dettaglio, ma mentre tutti gridano all’unisono all’esodo biblico, dalla Libia ancora non si è visto arrivare nessuno. Almeno via mare.

Gli ultimi arrivati a Lampedusa nei giorni scorsi erano ancora i tunisini della costa tra Zarzis e Sfax. Adesso, il brutto tempo rende impossibile avventurarsi in mare. E anche quando il mare tornerà calmo, se la situazione a Tripoli sarà sempre la stessa, è difficile immaginare grandi partenze nell’immediato. Lo dico dopo aver chattato su skype con un’amica libica, barricata in casa a Tripoli da ormai una settimana. Dice che di notte si sentono gli spari dei kalashnikov, che è tutto chiuso a parte qualche forno e qualche benzinaio, aperti poche ore al giorno. La gente esce il minimo indispensabile, in strada si contano i morti. Stanno tutti chiusi in casa, perché in giro ci sono le milizie, libiche e straniere, che se ti vedono in giro c’è il rischio che ti ammazzino. Con queste condizioni è ben difficile immaginare che qualcuno organizzi un trasferimento da Tripoli a Zuwarah, negozi l’acquisto di una barca e parta. Almeno nell’immediato.

Per ora in realtà l’unico esodo dalla Libia è quello degli stranieri. Italiani, americani e europei in primis, ma anche egiziani e tunisini, che da qualche giorno, stanno arrivando in massa ai posti frontalieri rispettivamente di Salum, in Egitto, e di Ras Jedir, in Tunisia. Hanno abbandonato la Libia in questo modo almeno 4.000 egiziani e 5.000 tunisini, seguiti da alcune centinaia di libici, cinesi, marocchini, libanesi e west-africani. Sul resto l’incertezza è totale. In questi giorni sono riuscito a prendere la linea a Tripoli una sola volta, due giorni fa, con un amico eritreo. Lui vive in Libia da quattro anni, in un quartiere periferico della capitale. Alla possibilità di approfittare del caos per passare la frontiera e venire in Italia, ovviamente ci ha pensato, ma per ora non c'è niente di concreto. "Ne parliamo molto, è chiaro, in questo momento non ci sono controlli. Però non ci sono neanche le condizioni per organizzarsi. La gente è spaventata, è da una settimana che non esce di casa. Non abbiamo avuto nessun contatto con gli intermediari, nessuno sta ancora organizzando le traversate. Aspettiamo e vediamo cosa succederà."

Insomma se tunisini e egiziani - che rappresentano due delle principali comunità del milione e mezzo di espatriati che vivono a fianco dei sei milioni di libici - stanno rientrando nei propri paesi via terra, è verosimile pensare che solo una piccola parte degli altri espatriati deciderà di raggiungere l’Italia via mare. I motivi sono semplici. La maggior parte degli stranieri in Libia ha una vita radicata da molti anni nel paese. Soprattutto i sudanesi, i chadiani, gli egiziani, i tunisini, ma anche molti ghanesi, nigeriani e nigerini, senza parlare dei lavoratori pakistani, srilankesi e filippini che arrivano in Libia con contratti di lavoro già definiti nei cantieri sparsi in tutto il paese. Dopotutto ci sarebbe poco da stupirsi. Non sarebbe infatti la prima volta che la Libia azzera i controlli lungo le proprie coste. Era già successo negli anni precedenti al 2009, quando iniziarono i respingimenti e i pattugliamenti. E in quegli anni dalla Libia arrivavano via mare in Italia un numero tra le 20mila e le 30mila persone. Nessuno si spiega allora perché adesso dovrebbero arrivarne dieci o venti volte tante.

Altro discorso è la questione dei mercenari africani. Tra i miliziani del regime che seminano il terrore nelle strade, abbiamo infatti visto molti neri africani, alcuni sono stati linciati dalla folla, sul web girano anche i filmati e alcune fotografie di documenti guineani, ma ancora non sappiamo esattamente di chi si tratti: se siano espatriati che si trovavano nelle galere libiche o se invece si tratti di una vera e propria legione straniera. Per adesso l’ago della bilancia è dalla loro parte, ma cosa succederà se vincerà il popolo? Ci sarà una spirale di vendetta e violenza? Esiste il rischio che colpisca indistintamente tutti i neri africani che vivono in Libia? Dopotutto il razzismo era molto radicato ai tempi di Gheddafi. Ma forse anche questo è un motivo per l’Europa di sostenere la svolta democratica oltremare.

Perché una Libia democratica sarebbe una Libia dove vige la certezza del diritto, dei libici e degli stranieri. Il tutto in un paese le cui risorse petrolifere potrebbero garantire possibilità di sviluppo ancora più consistenti di quelle che già conosceva sotto il regime di Gheddafi. E potrebbe quindi diventare una ancora più ambita attrazione per gli emigrati di tutta l’Africa, in cerca di fortuna ma anche di protezione internazionale come nel caso degli eritrei in fuga dal regime, o dei somali che vengono via dalla guerra. I quali non sarebbero costretti a fuggire a ogni costo, anche a rischio della vita in mare, da un paese che fino a oggi ha saputo offrire loro soltanto carcere e tortura. La Libia ce la può fare. Il popolo italiano non può restare a guardare. Quello delle partenze per Lampedusa è un problema minore. La priorità adesso è la lotta per la libertà. Lo dico col cuore in ansia per i tanti amici in Libia che in ogni momento rischio e rischiamo di perdere per effetto della folle repressione lanciata da Gheddafi. Quello che succederà dopo lo affronteremo in un secondo momento. Sapendo, con un po' di razionalità, che le cifre non saranno quelle indicate dal ministro Maroni e da certa stampa affezionata allo scoop, ma che tutt'al più torneranno ai livelli dei 20-30mila arrivi l'anno dei tempi in cui la frontiera libica era lasciata libera e incontrollata.